Con l’ordinanza n. 27126 del 23 ottobre 2019 la Corte di Cassazione, accogliendo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, ritiene legittimo l’accertamento fiscale basato su dati informativi ottenuti dal paese estero, senza che sia necessario allegare agli atti i suddetti dati scambiati.

Secondi i giudici, infatti, la possibilità di poter visionare tale documentazione durante il contraddittorio non comporta la violazione delle norme dello Statuto del contribuente. Inoltre, ai sensi dell’articolo 24, comma 1, lettera b) della legge n. 241/1997, il diritto di accesso è escluso nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano.

Nel caso di specie, i dati provenienti dallo scambio di informazioni evidenziavano ulteriori redditi prodotti all’estero riferiti agli anni d’imposta 2004, 2005 e 2006.

La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso del contribuente, che contestava la violazione degli articoli 7 e 12 della legge n. 212/2000 poiché gli atti impositivi risultavano viziati, a pena di nullità, della mancata allegazione di tutti gli atti riguardanti lo scambio di informazioni. Inoltre, secondo il ricorrente, ci sarebbe stata anche una violazione dell’articolo 22 della legge n. 241/1990 (diritto di accesso agli atti).

Con la sentenza n. 152/66/2011, la Commissione tributaria regionale ha tuttavia escluso che la fase di contraddittorio potesse sostanziarsi, oltre che nella presa visione della documentazione acquisita dall’Amministrazione finanziaria, nel diritto di estrarne copia e di prendere appunti nonché, una volta emanati gli atti impositivi, nel diritto del contribuente di accedere agli atti ad essi prodromici.

In particolare, i giudici di legittimità hanno considerato pretestuoso il comportamento del contribuente , “atteso che deve intendersi che i documenti che hanno portato l’Amministrazione finanziaria ad emanare gli atti impositivi siano non altri che quelli già offerti in visione alla parte anteriormente alla notifica degli avvisi di accertamento”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso del contribuente, riconoscendo però, a causa del decesso del contribuente in pendenza del giudizio, la non debenza delle sanzioni in capo agli eredi.