Con la sentenza n. 10 del 31 gennaio 2023, la Corte Costituzionale si è espressa in materia di presunzione legale dei ricavi non risultanti dalla contabilità.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate, durante delle indagini finanziarie e sulla scorta delle risultanze di conti correnti bancari recanti versamenti e prelevamenti non giustificati, aveva accertato una maggiore base imponibile di un imprenditore individuale sia per le imposte dirette che per l’IVA per l’anno 2013.

L’atto di accertamento veniva impugnato dal contribuente che deduceva che l’Ufficio, nel rideterminare l’imponibile per la quantificazione delle imposte dirette, sommando i versamenti e i prelevamenti delle movimentazioni sui propri conti correnti, non aveva tenuto conto, se non in parte, delle giustificazioni fornite dallo stesso per superare la presunzione di cui all’art. 32, del D.P.R. n. 600/1973.

La Ctp di Arezzo ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del suddetto articolo, nella parte relativa alla presunzione legale dei ricavi non contabilizzati, secondo la quale i prelievi dal conto corrente non risultanti dalle scritture contabili, (laddove superino gli importi di euro 1.000 giornalieri e comunque di euro 5.000 mensili), sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario.

Secondo la Ctp in mancanza di giustificazione, un prelievo dal conto può essere attribuito a costi d’impresa quanto a spese personali, specie nell’ipotesi di piccoli imprenditori individuali che abbiano optato per il regime di contabilità semplificata.

La Corte costituzionale rigettava le questioni di legittimità dell’articolo 32 in esame.

In mancanza di prova contraria, i prelevamenti e gli importi riscossi sono considerati “ricavi” e possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti suddetti per determinare il reddito imponibile nel regime delle imposte dirette.

Inoltre, la Corte ritiene che sia costituzionalmente illegittimo l’allineamento della posizione dei lavoratori autonomi e dei professionisti a quella degli imprenditori commerciali, anche in regime di contabilità semplificata, quanto alla presunzione di ricavi/compensi “occulti”, deducibili dai prelevamenti stessi.

La Consulta ribadisce ulteriormente, la non manifesta irragionevolezza della «doppia presunzione» che dai prelevamenti bancari ingiustificati, eseguiti dall’imprenditore, inferisce costi e ricavi occulti e pertanto reddito imponibile, oggetto di rettifica e di accertamento da parte del fisco; presunzione che si iscrive nel più ampio contesto della normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari e sulla regolamentazione limitativa della circolazione del danaro contante al fine di contrastare l’evasione o l’elusione fiscale.

In conclusione, la Corte Costituzionale ha quindi dichiarato non fondate le questioni di legittimità Costituzionale.