Con l’ordinanza n. 1861 del 27 gennaio 2025, la Cassazione ribadisce che anche le imprese minori che fruiscono del regime di contabilità semplificata, sono tenute a indicare ogni anno, nel registro degli acquisti tenuto ai fini Iva, il valore delle rimanenze.
La tenuta dei prospetti di dettaglio del magazzino, è necessaria per poter riscontrare la veridicità dei dati dichiarati dal contribuente, soprattutto nel caso in cui la verifica della consistenza del magazzino è riferita ad esercizi passati, relativamente ai quali non è possibile effettuare un riscontro fisico all’attualità.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva inviato un accertamento induttivo nei confronti di una società a responsabilità limitata, riscontrando l’assenza dei prospetti di dettaglio delle rimanenze di magazzino, per verificarne i valori effettivi rispetto a quanto dichiarato.
I giudici della suprema Corte, hanno affermato che “in tema di imposte sui redditi di impresa, anche le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 600 del 1973, devono indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze, senza limitarsi ad annotare quello globale, ma distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, secondo la disciplina tributaria della valutazione delle rimanenze […] In assenza di tali indicazioni – che ove fatte oggetto di richiesta da parte dei verificatori possono essere fornite dal contribuente anche in sede procedimentale durante l’accesso, l’ispezione e la verifica – l’amministrazione finanziaria può ritenere inattendibile la contabilità e procedere all’accertamento induttivo”.
Secondo i Giudici, “ove dall’inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell’ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario”, occorre quindi fornire qualunque elemento di riscontro documentale dettagliato.
Inoltre, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in caso di omessa redazione dell’inventario di inizio e fine esercizio ovvero anche, in assenza delle scritture ausiliarie sui reali movimenti di beni per la rivendita nell’anno, comprovanti costi e prezzi di vendita delle merci, l’ufficio può procedere ad accertamento induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 2 ricorrendo a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’articolo 2729 cod. civ. e a fatti noti all’ufficio, come i ricarichi medi per categorie omogenee di merci vendute nell’anno”
Infine, la Cassazione dichiara che “proprio in tema di imposte sui redditi di impresa minore, perché sia legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, del criterio induttivo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 2, non basta il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella risultante da uno studio di settore, ma occorre che risulti qualche elemento ulteriore incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione; e in quel caso in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittima l’applicazione del metodo induttivo in considerazione del fatto che il contribuente, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in contestazione, aveva omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e non aveva mai assolto all’incombente di esibire il relativo prospetto, alla cui tenuta sono obbligate anche le imprese soggette a contabilità semplificate” .