Con la sentenza n. 36461 depositata il 27 agosto 2019, la Corte di Cassazione indica che il consulente può concorrere negli illeciti penali tributari commessi dal proprio cliente ove sia stato “consapevole e cosciente ispiratore della frode” anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente. Il dettato degli Ermellini assume rilevanza ancora maggiore in quanto precisa i confini relativi al sequestro preventivo nei confronti dei beni del consulente. Devono infatti essere ben specificati i motivi in ordine al ruolo svolto dal professionista nella realizzazione dei reati per cui si indaga.
La Corte di Cassazione ha infatti accolto il ricorso avanzato da una consulente fiscale, indagata per reati tributari in concorso con il titolare di due società per le quali aveva prestato la propria consulenza. La misura cautelare si basava esclusivamente sul suo ruolo di commercialista delle società coinvolte e, nel corso delle indagini preliminari, era stato eseguito un sequestro preventivo proprio nei confronti della consulente.
La ricorrente aveva quindi impugnato l’ordinanza del riesame evidenziando che il tribunale non aveva chiarito il ruolo concreto svolto dalla consulente e in che modo avesse contribuito agli illeciti tributari delle società. Secondo i giudici della Suprema Corte, ammettendo la fondatezza delle doglianze della consulente, non erano stati spiegati gli elementi dimostrativi del concreto contributo concorsuale dato dalla consulente stessa per la realizzazione dei fatti. Il tribunale del riesame avrebbe in realtà dovuto chiarire precisamente questo aspetto e porlo in relazione alle attività indicate nei capi d’imputazione provvisoria.
L’ordinanza impugnata è stata quindi annullata ed è stato disposto il rinvio della causa al Tribunale, per un nuovo esame.